KUROI LIBRI – RIVA di Ilaria Paluzzi

Riva di Ilaria Paluzzi

Riva è il primo romanzo di Ilaria Paluzzi, scrittrice di Silvi Marina, cittadina di mare in provincia di Teramo, e autrice di un blog molto interessante https://vanishingpointsite.wordpress.com/. Un libro che ho avuto la fortuna di leggere e che mi ha coinvolto ed emozionato come pochi. Un particolarissimo reticolo di rapporti umani fitto e complicato quanto la vita stessa. I protagonisti sono Sotiris, Ana, Med e Ilir, ragazzi che vivono a Colonia, ma le cui storie partono da molto lontano. Sono collegati tra loro dalla figura del misterioso Riva, uno sconosciuto writer che influenza le loro vite attraverso le sue opere e la ricerca della sua identità. Dovrei dirvi solamente “leggetelo, fidatevi perché è un’opera di un’intensità travolgente che non potete non leggere” ma non avrei reso giustizia alla bellezza di questo testo. Così ho chiesto all’autrice stessa di raccontarlo e raccontarsi in questa intervista.

Ilaria, quale storia, tra quelle raccontate in Riva, è nata per prima?

Il romanzo, inizialmente, era incentrato sulla figura di Ilir, il quale fugge dalla sua Albania per approdare prima in Italia e poi in Germania. È nato da un incontro fatto al carcere di Pescara. Mi trovavo lì per un progetto di volontariato e ho avuto modo di conoscere un ragazzo albanese e di farmi raccontare cosa spingeva tanti giovani come lui a cercare fortuna in Italia. Lui mi raccontò che quando aveva  13-14 anni andava al porto di Durazzo a giocare e, sempre per gioco, salì su questa nave per vedere cosa ci fosse dall’altra parte del mare, per scoprire tutto quello che in Albania non esisteva, senza limitarsi a immaginarlo, ma con la pretesa di vederlo con i propri occhi. Alcuni tornavano indietro, altri sono rimasi, Ilir è uno di quelli che è rimasto. Da qui mi sono appassionata all’Albania e alla sua storia.

Infatti, Ilir è il personaggio che si racconta (tutti i personaggi parlano in prima persona) in maniera più approfondita. Dall’infanzia a Tirana, dalla dittatura di Enver Hoxha, accettata passivamente dagli albanesi e causa della morte del padre, fino all’arrivo a Colonia. Qui condivide il “palcoscenico” con altri ragazzi provenienti dall’Europa del sud. Come mai hai scelto proprio la Germania?

Dalla fine della Seconda Guerra mondiale è sempre stato così, i nostri nonni emigravano in Germania e tantissimi ragazzi lo fanno ancora adesso. Ho immaginato questi ragazzi del sud che per vivere meglio non potevano che dirigersi verso il Nord Europa, quel posto in cui si vive bene ma che pretende di decidere sul resto del continente, specialmente sulla parte meridionale.

Il titolo Riva, non si riferisce solo alle rive del mare ma anche al fantomatico e sconosciuto writer che tappezza le strade di Colonia. Tutti si chiedono chi possa essere e rivedono nelle sue opere qualcosa di loro stessi.

Esattamente, con la figura di Riva volevo dimostrare che ognuno, nel momento in cui si relaziona con un personaggio, diventa personaggio egli stesso; perché, per l’appunto, riconosce in lui qualcosa di sé e si riconosce anche come autore di quel personaggio. Quando crei delle storie e dei personaggi, che siano cinematografici, letterali o pittorici, devi accettare il compromesso del tempo. Quest’ultimo fa sì che una volta creati, essi non sono più tuoi ma diventano di tutti coloro che ci si relazioneranno.

Il tuo libro è diviso in preludio, cinque canti e un sipario. Perché questa scelta di renderlo così “teatrale”?

Perché per me ogni libro deve essere teatrale. Io volevo che i personaggi vivessero e prendessero la parola, li ho immaginati su un palcoscenico. Da questo punto di vista mi hanno influenzato autori come Camus e Pirandello. Il concetto fondamentale è che lo scrittore, nel momento in cui scrive, deve interpretare il suo personaggio, deve saperci stare all’interno. È quello che ho cercato di fare in questa mia esperienza di scrittrice. Ho anche frequentato un laboratorio teatrale per cercare di entrare nei panni di persone molto diverse da me, mosse nel cuore dalla favola del gabbiano e la rondine. Quest’ultima storia è fondamentale per capire a pieno il senso del romanzo.

La favola del gabbiano e la rondine si rivela decisiva ma non sveliamo troppo ai nostri lettori e lasciamo che la incontrino nella loro lettura. Ti faccio un’ultima domanda: Ziki, uno dei personaggi secondari dice a Ilir “La gente che vive al mare soffre la solitudine come pochi. Per non sentirsi soli, fanno amicizia con il mare. E quando il mare non sa che dirti, allora inventi”. Qual è il tuo rapporto con il mare e qual è stato il suo ruolo nella stesura di Riva?

Chiunque vive al mare, ed è il mio caso, sa che in inverno si passano momenti di solitudine estrema. Questa storia, però, si è sviluppata in primavera. È nata dall’incontro con il ragazzo albanese, come ho detto prima, ma la forza e l’esigenza di proseguire questo cammino sono arrivate quando correvo sulla spiaggia e guardavo rondini e gabbiani sfrecciare al tramonto. Mi sentivo libera e sentirsi liberi è fondamentale per scrivere, indipendentemente dal luogo in cui ci si trova. Forse questo libro l’avrei scritto anche in un altro posto. Sicuramente, non sarebbe mai nato se non avessi fatto un lungo lavoro di ricerca su me stessa, basato sulla “Teoria della nascita” del Prof. Massimo Fagioli. Senza questa ricerca non avrei saputo riconoscere il cuore che batte dal cuore che spegne.

Daniele Forcella

 

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