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Continuano le mie chiacchierate con gli autori incontrati alla fiera del libro di Firenze. Oggi è il turno di Romina Bramanti autrice de “Il custode dei cuori”. Romina scrive da quando era bambina. Divoratrice di libri, appassionata di foto, amante dei gatti da sempre… Non potevamo non trovarci! Ha grinta da vendere e una fantasia che non conosce limiti. Il suo romanzo ha la capacità di trasportarti in mille mondi diversi, di spingerti ad approfondire emozioni e realtà non tangibili.
Romina, parlaci del Custode dei Cuori. Com’è nata questa storia e di cosa parla.
Un giorno, non tanto per caso, volevo scrivere una favola per una persona che l’avrebbe letta la mattina seguente. Così immaginai una ‘favola del buongiorno’. Qualcosa fuori dagli schemi classici: nessun finale scontato o banale (…e vissero felici e contenti, per capirsi), nessuna descrizione dei personaggi ma piuttosto un viaggio nei loro sentimenti. Quindi iniziai a scrivere la mia storia, proprio con C’era una volta come per ogni favola che si rispetti! Avevo talmente chiaro il viaggio di Cuor di Leone (il protagonista), che in un pomeriggio avevo scritto la sua storia e un pezzo della mia. Naturalmente non mandai la favola a nessuno e la chiusi, per così dire, in un cassetto. Dopo qualche mese, mi accorsi che il protagonista di quella favola, non aveva che iniziato il suo viaggio. Ripresi il tutto e, a distanza di circa due anni, avevo scritto di mondi lontani, percorsi di vita e tanti sentimenti.
Il Custode dei Cuori racconta di un susseguirsi di mondi bizzarri, ma non sempre lontani: micromondi senza tempo alla ricerca di un equilibrio. Sui mondi che incontriamo, si affrontano tematiche camuffate nelle varie storie. Gli argomenti toccati sono sempre attuali e trasversali come la violenza domestica, i rapporti di coppia, la diversità, l’amicizia, il sogno, la perdita e ovviamente l’Amore.
Il protagonista della storia si chiama Cuor di Leone. Abitante del Mondo delle Possibilità, un mondo che si trova nella Galassia del Vorrei, incastonata nell’Universo del Perditempo. Lui viene scelto per diventare un Guardiano (entità che si occupa degli abitanti dei vari mondi che gli vengono affidati usando solo estro e inventiva, non possiede nessun potere, ed è soggetto a prendere il ‘difetto’ del mondo su cui si trova, quindi il tempo di assegnazione al mondo stesso è limitato). Alla fine di un percorso interiore il protagonista è sottoposto ad un’evoluzione: diventa un Custode (entità libera dall’influenza del difetto del mondo, possiede anche altri poteri che scopriremo col tempo). Il nome del protagonista cambia come cambia l’importanza dello stesso. Da questo momento leggeremo le vicende di Sognatore, Custode dei Cuori. Sul suo nuovo percorso incontrerà tante anime piene di domande, occhi che cercano altri occhi, archetipi che si muovono sul palcoscenico delle loro vite. Aiutando gli altri, Sognatore aiuterà se stesso, in una evoluzione che lo porterà sempre più vicino alla sua méta.
Ne Il custode di cuori il linguaggio fiabesco è delicatamente mescolato a quello poetico. Quanto hanno influito nella tua formazione di scrittrice versi e favole?
Scrivo da quando ero bambina, nonostante mi venisse ripetuto, continuamente, che non ero capace di scrivere. Ma io, cocciuto leone, scrivevo. La poesia divenne, per me, un modo per esprimere, e descrivere, sentimenti ed emozioni. Le favole mi hanno sempre affascinato e incuriosito. Non mi stancano mai. Stuzzicano la mia fantasia, ispirano la mia creatività. Direi che, versi e favole, hanno influito e influiscono tuttora in quello che scrivo, ma senza vincolarmi aggressivamente. Sono, altresì, uno stimolo a cercare qualcosa di nuovo per potermi esprimere al meglio. Resta il fatto che, se mi avessero detto che un giorno avrei pubblicato una silloge non c’avrei creduto. Figuriamoci un romanzo. Ad oggi, mi sono ricreduta per entrambi. Fiera di cosa ho creato. Felice di avere riscontri sempre positivi. Posso comunque affermare che sulla mia formazione, oltre ai versi e alle favole, ha influito in modo importante anche la negazione di cosa potevo o non fare. Proprio così. Dirmi che non sapevo scrivere, mi ha permesso di diventare proprio una scrittrice. Sfidare dei limiti che mi venivano delineati, mi ha permesso di andare oltre. I limiti dobbiamo darceli da soli. Non lasciamo che altri ci dicano come o cosa siamo in grado di fare.
C’è una favola della tua infanzia che ti è rimasta dentro in modo particolare?
Il meraviglioso mago di Oz di Lyman Frank Baum. L’ho letto e riletto in vari momenti della mia vita, scoprendo ogni volta concetti nuovi. Trovo il testo ricco di significato. Amo i personaggi e le loro particolarità. La crescita di ognuno di loro fa in modo che il lettore si trovi di fronte ad uno specchio.
Difficile non innamorarsene.
Nel libro compaiono tanti mondi che rispecchiano quelli interiori, in positivo e in negativo: quello dell’apparenza, dell’inganno, il mondo del disinteressato, quello Corrotto e imperfetto, della possibilità. Raccontaci di questo viaggio particolare che riguarda il protagonista ma anche gli altri personaggi. Qual è il mondo che hai indagato più volentieri?
In principio il protagonista viaggia per mondi come Guardiano in una forma introspettiva, crescendo e evolvendosi. Divenuto Custode, può dedicarsi alla scoperta di nuovi mondi in un viaggio esplorativo che lo catapulta nella vita di nuovi personaggi. Ogni personaggio ha alle spalle una storia e si trova davanti una possibilità di evolvere. Ogni volta il protagonista escogita un nuovo modo di affrontare problematiche diverse ma attuali: problemi di coppia (Regina), violenza psicologica e abuso di potere (Sultano), bullismo/emarginazione/mobbing/prevaricazione (Elettra e la sua famiglia). Inoltre cerca una soluzione per affrontare difficoltà interiori quali: apparenza (Miss), rigidità (Venere Difettosa) e avidità di potere (Condottiero). Ogni mondo caratterizzato da una sfaccettatura del nostro essere in bene o in male. Dopo la conoscenza di questi personaggi chiave, si viene inghiottiti da un insieme di entità di contrasto che permettono un ulteriore crescita del protagonista ma anche di questi nuovi personaggi chiave. Quindi il viaggio sembra non avere mai fine.
Ho amato ogni mondo del quale ho descritto le caratteristiche, ogni sfaccettatura che accoglieva, ogni emozione che lasciava esplodere. Difficile dire quale sia quello di cui ho scritto più volentieri perché ognuno fa parte di un percorso pensato e riflettuto. Una sfaccettatura della realtà che si riflette nella fantasia. Non potrei nemmeno preferire un personaggio ad un altro. Dopo due anni di ‘convivenza’ ogni singolo personaggio mi si è affezionato quanto io a loro. Ma comunque tengo sempre presente che tutto ha avuto inizio con il Mondo delle Possibilità. Un mondo dove vengono raccolte tutte le possibilità, quindi senza un mondo con così tanti potenziali credo che il nostro Sognatore non avrebbe avuto modo di avere caratteristiche tali da evolvere e aiutare gli altri personaggi a crescere interiormente. Ed io non avrei avuto la possibilità di scrivere di lui o di nessun altro.
Il capitolo in cui compare il gatto Macchia è davvero delicato, molto toccante. Che rapporto hai con gli animali? Che valore aggiungono a quello che scrivi?
Abito in campagna. La mia casa è circondata da distese di prati, campi coltivati, frutteti e uliveti. Immersa nel verde a contatto con la natura 24h su 24. Abbiamo sempre avuti gatti. I quali mi hanno insegnato cosa significa: amore incondizionato. Ho avuto l’onore di prendermi cura di un passerotto, caduto dal nido troppo presto, che mi ha insegnato il vero significato di fiducia e libertà. Ho sempre avuto un rapporto molto speciale con gli animali, questi sono solo due piccoli esempi. Un rapporto fatto di fiducia, responsabilità, estremo rispetto ma soprattutto amore. Il capitolo che parla della mia adorata Macchia, è l’esempio lampante di quanto valore si aggiunga a quello che scrivo proprio grazie al rapporto che ho creato con lei nel corso della nostra convivenza. Ad oggi, quando rileggo quel capitolo, ancora vivida l’emozione che racchiudono le righe, mi arriva prepotente con un nodo alla gola, e i sentimenti si fanno sentire forti dentro il cuore.
La locanda del bisbiglio è un luogo speciale, uno dei tanti che troverete leggendo il libro. Mi ha fatto pensare a uno studio sospeso nel tempo e nello spazio dove si raccolgono le idee e si incontrano mondi lontani. Cosa esplorerai nel tuo prossimo libro?
Bisbigliando per non svelare troppo… Nel prossimo libro, sono nuovamente alle prese con sentimenti ed emozioni. Amori che nascono e finiscono. Evoluzioni e involuzione dei personaggi in contrasto con loro stessi. Nessun finale scontato. Praticamente una nuova favola del buongiorno!
La felicità va cercata che nessuno la dia per scontata. In che modo cerchi la tua felicità?
La felicità è: dedicarsi del tempo.
Gli oggetti ci danno una parvenza di felicità. I sentimenti e le emozioni rimangono dentro di noi e grazie ai ricordi, sono sempre presenti. Dedicarsi del tempo significa amare se stessi. Emozionarsi di qualcosa che è solamente nostro. Purtroppo, anche se sembra una banalità, non ci dedichiamo mai abbastanza tempo per accorgerci se stiamo bene o male, se possiamo migliorarci o semplicemente per crescere. Se stiamo bene con noi stessi, inevitabilmente staremo bene con gli altri. La mia felicità è cercare un sorriso fatto col cuore. E’ una goccia di pioggia, un soffio di vento, il profumo di un fiore appena sbocciato. Il pettirosso che ti osserva curioso, il miagolio d’un gatto, lo scodinzolio di un cane. Un coriandolo! Tutto quello che può arricchirmi, mi da felicità. Ma se non mi dedico del tempo, come posso sapere di cosa ho realmente bisogno?
Varla
Appuntamento a Phoenix, (Rendez-vous à Phoenix) scritto e illustrato da Tony Sandoval
Traduzione di Diego Fiocco (collana Prospero Book, edizioni Tunué)
Appuntamento a Phoenix è una storia autobiografica. Tony Sandoval, nato nel nord-ovest del Messico, ci racconta la sua avventurosa traversata della frontiera. Ingenuo e idealista, insegue il suo sogno americano. Durante i suoi incontri, dovrà affrontare lo stress e la paura di tutti quelli che fuggono dal proprio Paese d’origine alla ricerca di un Eldorado. Una trascinante soggettiva del viaggio sostenuto dagli immigrati clandestini.
1998, Sonora. Tony è sdraiato su un divano malconcio in mezzo al nulla. Un nulla polveroso ed esasperante. Il ragazzo desidera attraversare la frontiera per realizzare il suo desiderio più grande: diventare un fumettista affermato e vivere insieme a Suzy, la ragazza che gli ha rubato il cuore. Come attraversare il confine senza essere arrestato, derubato, ucciso? A dividere Tony dai suoi sogni, chilometri di filo spinato e la paura di non farcela. Ma alla fine prende coraggio. Dopo aver annunciato alla famiglia la sua decisione, si imbarca su un pullman diretto a Nogales. Da lì proverà a raggiungere Phoenix, dove ad attenderlo troverà Suzy.
“Tra sogni e preghiere, il bus mi portava pian piano via da Esperanza. Ho sentito una sincera e profonda tristezza. Non sarei tornato tanto presto, non sapevo nemmeno se lo avrei rivisto un giorno.”
Pagina dopo pagina, con lo scorrere delle illustrazioni il viaggio si fa sempre più duro, rischioso e frustrante. Il caldo, la fatica, le bande criminali che si nutrono della disperazione dei migranti, la Bestia che sferraglia e falcia centinaia di vite sulle rotaie. Tony viene fermato e rispedito più volte al punto di partenza, un non-luogo che diventa il simbolo della sua “prigionia”. Quando ormai crede di non farcela più, quando pensa che tutto sia andato perduto, trova la forza per fare lo scatto finale e la possibilità di una nuova vita diventa finalmente tangibile.
“Ho sentito il rumore del clacson come fosse venuto da un altro mondo. Ero così convinto che si sarebbe rovinato tutto che non l’aspettavo più.”
Non è il Tony Sandoval gotico ed onirico ad animare le pagine di questo volume. Gli elementi surreali sono relegati a pochissime tavole, quelle in cui la sua amata Roming 0.3, diventa ideale ancora di salvezza e spinta propulsiva per tentare l’impossibile. La fantasia sfrenata in questo diario di viaggio è racchiusa nell’attimo prima in cui tutto ha inizio, rappresenta l’invisibile carburante di Tony e forse l’unico mezzo adatto per varcare i confini geografici e mentali. Anche se tutto quello che si possiede sono una manciata di spiccioli, una penna e un paio di scarpe da ginnastica logore.
Le fiere del libro sono occasioni preziose per far conoscere la propria realtà editoriale e approfondire quella di tanti autori. Durante i tre giorni di Firenze Libro Aperto ho avuto modo di parlare con alcuni scrittori-colleghi di stand. Mi hanno colpito per la loro personalità e ovviamente per le loro fatiche letterarie. Ho deciso di dedicargli uno spazio sul blog per conoscerli ancora meglio e parlare dei loro libri. Il protagonista dell’intervista di oggi è Marco Mancinelli, autore “youcaniano” e vero funambolo dei generi: spazia dalla narrativa all’horror, dalla fantascienza al thriller e non disdegna le contaminazioni letterarie. Lo fa in modo del tutto naturale, con uno stile ben definito, dove niente è lasciato al caso. I suoi romanzi sono davvero coinvolgenti, ironici ed emozionanti, un po’ come questa chiacchierata.
Sulla tua biografia ho letto che spesso di notte sei fuori con il telescopio a guardare le stelle. Questo mi fa pensare a mondi lontani… e ai tuoi personaggi spesso collocati “ai margini” di qualcosa (società, relazioni interpersonali). Puoi parlarci del rapporto che intercorre tra i protagonisti outsider dei tuoi libri e le realtà, fisiche e non, con cui sono costretti prima o poi a interagire o che, al contrario, ritengono un loro habitat naturale.
Se le guardi dalla Terra, le stelle sembrano tutte piuttosto vicine tra loro. Ti verrebbe quasi da pensare che si facciano compagnia, lassù, nel cielo buio e profondo. In realtà tra una stella e l’altra c’è così tanto spazio vuoto che per viaggiare tra le due più vicine non ti basterebbero dieci vite. I personaggi delle mie storie, come hai detto tu, sono spesso degli outsider, e come le stelle nell’universo vivono lontano dagli altri e, a volte, anche da loro stessi. Sinceramente non so perché mi vengano fuori così; forse sarà che non mi piacciono le persone convenzionali o, più probabilmente, mi spaventano. O forse perché una storia la racconti meglio se la osservi da lontano, con gli occhi del pazzo, prendendo bene le distanze.
Cyberblood e Nero Uomo hanno per protagonisti quattro personaggi che più borderline non potrebbero essere: un hacker riservato fino all’ossessione, un ex militare con un brutto carattere che affoga nell’alcol i propri demoni, una assassina sociopatica che vive senza freni morali e un perdigiorno cinico che lentamente scivola e si perde nel lato oscuro della vita. Insieme provano a rapportarsi con questa nostra società moderna, la affrontano e tentano di sopravvivere, un po’ come facciamo anche noialtri. Solo che lo fanno stando fuori dal cerchio civile. Riscrivono regole che poi non seguono, perché le infrangono quando ne hanno bisogno. Non accettano le convenzioni e non si fanno imbrigliare dalla quotidianità. Sono eroi reazionari di un mondo caotico, in un certo senso.
Il protagonista di In Equilibrio sul Silenzio è un quarantenne dal passato doloroso che vive tenendo lontane le emozioni. Costruisce per sé un mondo dove sentirsi protetto e al sicuro, un angolino riparato da dove osserva le vita che scorre via senza sorprese. E gli va bene così. Poi un giorno accade qualcosa che mette in discussione e sconvolge la sua stasi esistenziale. Da quel momento farà di tutto per tornare alla condizione precedente, ma per riuscirci dovrà aprirsi a quel mondo che per anni ha tenuto fuori dalla porta. Riscoprirà certe emozioni e, soprattutto, si troverà di nuovo in bilico sul filo della vita, come un funambolo, con la necessità di scegliere da quale parte andare, o cadere, perché per salvarsi a volte è necessario precipitare e rimanere senza respiro. In questo romanzo cito spesso un luogo, a Roma, che ho frequentato a lungo e dove ho avuto l’ispirazione per la storia: l’Angelo Mai Altrove, uno spazio occupato che vive di arte e idee, un posto dove puoi assistere ad uno spettacolo teatrale d’avanguardia, ascoltare un reading di alta letteratura o scolarti un paio di birre mentre ti godi il concerto di uno dei tuoi gruppi musicali preferiti. L’Angelo Mai è un posto, anzi un avamposto, di frontiera, perfetto per perdersi e allontanarsi dalla centrifuga impazzita della città, dai suoi doveri, dalle sue regole, dai suoi meccanismi implacabili. Le disavventure di Modesto, il protagonista del romanzo, iniziano lì, in uno dei luoghi in cui lui si sente più al sicuro. Adesso che ci penso, credo di avergli fatto una cattiveria immensa, in effetti.
E arriviamo ad Aaron Swenson, il protagonista del mio ultimo libro. Aaron è il figlio arrabbiato di una società corrotta e fallita. È un rivoluzionario senza ideali, una scheggia impazzita sfuggita al giogo del sistema. Come i protagonisti degli altri romanzi, anche lui ha un pessimo rapporto con il proprio mondo e il proprio tempo, a differenza degli altri però è l’unico che non può permettersi di prendere le distanze, a causa di una certa condizione in cui versa. È un outsider anche lui, ma è pericoloso, perché costretto a fare i conti con una società cui non sente di appartenere. Aaron è la bomba sul punto di esplodere che il Sistema tiene tra le braccia e culla come un neonato. Insomma, un bel casino davvero!
I tuoi autori di riferimento, uno scrittore che ami in maniera particolare.
Ho iniziato a leggere romanzi all’età di otto anni. Piano piano sono scivolato dai classici per ragazzi alla letteratura horror. A quindici anni avevo già letto tutto Poe e Lovecraft. In età adulta mi sono aperto anche ad altri generi, noir e fantascienza su tutti, e i miei autori di riferimento sono oggi tutti lì. Quando scrivo mi ispiro molto a King, Barker, Koontz, Dick e Lansdale per quanto concerne gli intrecci delle trame e la gestione dei personaggi. Per la tecnica narrativa, mi affido agli insegnamenti di Hemingway e Fitzgerald, anche se il mio faro nella notte rimane Amy Hempel, la regina del racconto minimalista. Come vedi, i miei autori di riferimento sono molti e spaziano nei generi. Forse è per questo che le mie storie vanno dal thriller alla narrativa, fino alla fantascienza, al mistery e al dark fantasy. Del resto, mi sono sempre considerato più uno storyteller (quando il termine ancora non era stato preso in ostaggio e stuprato dal marketing) che uno scrittore. Mi piace raccontare storie, fuori da ogni etichetta. Niente di più.
I personaggi secondari dei tuoi libri sono caratterizzati in maniera impeccabile, sembrano davvero persone in carne ed ossa e in più contengono elementi che sembrano essere usciti da film e fumetti. Quali sono le fonti da cui attingi per realizzare ritratti così veritieri e un tantino sopra le righe?
Come ti dicevo, ho sempre letto molto, fin da bambino. Romanzi e fumetti in testa. Però sono anche un amante del cinema e delle serie tv: insomma, dove c’è una buona storia, ci sono anche io. Quando scrivo un romanzo o un racconto, lascio che siano i protagonisti a narrare le vicende, io mi faccio da parte. Devi credermi: il più delle volte non ho neanche uno straccio di trama cui aggrapparmi. Spesso le mie storie nascono da un pensiero del tipo: «Sarebbe fico se ci fosse una donna un po’ matta che lavora per la criminalità organizzata e sa come muoversi in certi ambienti metropolitani…». Io mi limito a dare spazio ai personaggi, poi sono loro a suggerirmi quello che succede. Tuttalpiù io mi preoccupo di dare un senso e organizzare in maniera coerente le informazioni. Per realizzare questo piccolo miracolo, ho bisogno che i personaggi acquisiscano spessore, e che diventino reali. Allora mi concentro e mi focalizzo sulla loro psicologia, e tutto il grosso del mio lavoro sta lì. Io creo il genio della lampada, ma poi è lui che crea le meraviglie. Io devo solo dargli consistenza. Più riesco a farlo sembrare vero e a trascinarlo da questa parte della realtà, più la storia che racconta sarà convincente. Ma una buona storia ha bisogno di tante voci, così mi concentro anche sui personaggi secondari, affinché non siano costretti a gridare per farsi udire. Se non gridano, non c’è pericolo che stonino. È tutta una questione di armonia. Io osservo la realtà, la confronto con le tecniche dei grandi registi, dei grandi romanzieri e dei grandi sceneggiatori. I miei personaggi sono il risultato di questo attento lavoro di osservazione e costruzione. E questa rimane ancora oggi, per me, la parte più impegnativa nella stesura di un romanzo o di un racconto. Vorrei dirti che esiste una formula magica per creare buoni personaggi, ma non è così. Servono impegno e pazienza. C’è però un comune denominatore in tutti i miei personaggi, una caratteristica che li accomuna e che, credo, contribuisce a renderli veri: la fragilità. Io credo che gli esseri umani siano tutti fragili, anche quelli che si nascondono dietro la forza più ostentata. Abbiamo tutti un punto di rottura, uno spazio mentale e sentimentale oltre il quale ci infrangiamo e collassiamo su noi stessi. Io cerco di individuare quel punto in ogni personaggio e poi lo mostro al lettore, glielo do letteralmente in pasto. Nella miseria e nella sofferenza noi esseri umani ci riconosciamo tutti. E ci affezioniamo. Ecco, guarda, forse il trucco sta lì. Non è proprio una magia, ma è la cosa che più ci si avvicina.
Raccontaci di 2068. Com’è nata l’idea di scrivere questo romanzo?
2068 – L’uomo che distrusse il futuro è nato, prima di tutto, dalla mia grande passione per il genere cyberpunk. Nello specifico, era il dicembre del 2015. Un amico mi aveva chiesto di aiutarlo con l’editing di un saggio su 1984, di Orwell. La lettura di quel manoscritto ha messo in moto il mio cervello che ha iniziato a fantasticare di mondi lontani e società distopiche. In quel periodo ho recuperato tutti i classici del genere: Huxley, Dick, Orwell, Bradbury e molti altri. A febbraio avevo assimilato tante di quelle informazioni che ormai ero pronto per dare sfogo alla fantasia. Come al solito, sono partito dai personaggi. Aaron Swenson, il protagonista, è nato quasi per caso, mentre cercavo di fare ordine nella mia testa: un criminale che si rivolta contro il Governo e diventa la sua spina nel fianco. Semplice e chiaro. Poteva funzionare. L’idea era scrivere una storia che non fosse una brutta copia di 1984 o de Il mondo nuovo, e nemmeno una scopiazzatura di Neuromante, ma che utilizzasse le tematiche a loro care come trampolino per saltare oltre, verso un territorio ancora inesplorato. La difficoltà con questi classici è, dal punto di vista narrativo, lasciarsi ispirare senza farsi condizionare da cliché e topoi propri di queste monumentali opere letterarie. Orwell e gli altri maestri della fantascienza distopica e cyberpunk avevano osservato il loro presente e proiettato nel futuro i timori e le incertezze che esso suscitava. Io avrei fatto lo stesso, ma senza azzardare previsioni. Il mio presente, ho giudicato, era già abbastanza penoso, a livello sociale e politico. Non mi serviva altro. A volte vivere in un periodo di merda aiuta. Se non altro ti permette di scrivere una buona storia!
In breve, questa è la trama come si legge nel retro di copertina.
In un futuro non troppo lontano, gli Stati Nazionali hanno perso la loro indipendenza e l’Europa è unita sotto un unico governo centrale. Il divario tra le classi sociali è divenuto incolmabile, e le città sono divise in Settori, ognuno abitato da una differente casta di cittadini. La tecnologia è tutta in mano al Governo Unico, che la gestisce con l’aiuto delle multinazionali e la complicità delle tre associazioni criminali principali. Il tessuto sociale si regge su tre regole semplici: produci, consuma, muori. Aaron Swenson è un criminale che sta scontando una condanna in uno dei settori periferici della città, ed è l’unico che sa come interagire con la Rete, la tecnologia che gestisce l’organizzazione della popolazione. Ci riesce grazie ad un impianto bionico difettoso e un socio zelante che non esiste. Per smascherare l’inganno del Governo Unico dovrà mettersi contro tutti e scendere a compromessi con le persone più pericolose del pianeta. Aaron ha un’unica regola: tutto ciò che non riuscirà a cambiare, lo distruggerà.
Vorrei concludere con una particolarità del romanzo. Ho scelto una narrazione in prima persona, al tempo presente (non sapevo come complicarmi la vita!). Poi, ogni protagonista ha bisogno della sua nemesi, di un antagonista di spessore. Quello di Swenson si chiama Keenan, ed è un poliziotto, un uomo del Governo. Così l’io narrante oscilla dalle disavventure underground di Aaron e i suoi compari ai resoconti di indagine del capo della polizia cittadina, tra rapporti ufficiali e piccoli disagi esistenziali. Ho cercato di restituire al lettore tutte le informazioni di cui può aver bisogno per immergersi nella trama, e anche per scegliere da che parte stare. Spero tanto di esserci riuscito.
Potete acquistare i libri di Marco su Amazon, in versione cartacea e digitale.
Il suo sito: www.cyberblood.it
Varla
Ipazia – Vita e sogni di una scienziata del IV secolo
Adriano Petta – Antonio Colavito. La Lepre edizioni
L’11 febbraio è stata la giornata internazionale per le donne e le ragazze nella scienza, così ho scelto di omaggiare la prima scienziata al mondo, vissuta nel 400 d.C. ad Alessandria d’Egitto. Mi è capitato di leggere questo libro casualmente alcuni anni fa, non conoscevo nulla della figura di Ipazia e ne sono rimasto affascinato fin da subito. Adriano Petta e Antonio Colavito hanno ricostruito l’ambiente storico nel quale Ipazia viveva, studiava e insegnava, attraverso un grande lavoro di ricerca; lo testimonia la lunghissima bibliografia che possiamo consultare nelle ultime pagine. L’opera che ne viene fuori si divide in due parti: la prima dedicata alla vita della donna che verrà stroncata in maniera drammatica dai parabolani cristiani e una seconda, nella quale la stessa Ipazia in persona racconta, tramite l’immaginazione di Antonio Colavito, i suoi sogni e le sue ricerche. Nelle prime 237 pagine, tutto viene raccontato attraverso gli occhi di Shalim, figlio di un commerciante di fogli di Papiro e il libro si apre con l’incontro tra il narratore, diciannovenne e Ipazia, ventunenne. Quest’ultima si accorge degli studi che il ragazzo conduce per conto proprio e lo porta al Centro Studi di Alessandria, curato da Teone, padre di Ipazia. Da quel momento Shalim seguirà la sua maestra in gran parte della sua vita, assisteranno insieme al declino della città, preda della crescente follia cristiana che porterà prima alla distruzione della straordinaria biblioteca alessandrina e dei templi pagani e poi all’atroce esecuzione ordinata da Cirillo (vescovo di Alessandria, santo per la Chiesa cattolica). Il rapporto tra Shalim e Ipazia è senza dubbio uno dei punti più interessanti di quello che rimane in ogni caso un romanzo storico. La scienziata, più razionale, e l’allievo innamorato e fedele che insegna alla propria maestra nuovi punti di vista. Emblematico è il passaggio della “costellazione della musica”:
“Questa è la musica Shalim, la scienza del modulare bene, dello stimare la giusta misura della durata d’un arpeggio, di una parola […]”
“Non riesci a convincermi, non si può pensare sempre e soltanto in termini di numeri! Bisogna esser liberi di far piovere dal cielo, da quel sole che ora sta nascondendosi nel mare , dal volo di questi gabbiani la melodia d’un canto! Dai, Ipazia, proviamo”
In un romanzo che racconta la vita e i sogni di un “simbolo dell’amore per la ragione e per la scienza”, come recita la prefazione scritta da Margherita Hack, troviamo un’inaspettata quanto fondamentale scintilla irrazionale. Ipazia la vorrà sempre al proprio fianco nella missione che impegnerà tutta la sua vita, ovvero, difendere la scienza e la libertà di pensiero dall’integralismo religioso che odia la scienziata in quanto ribelle e, soprattutto, in quanto donna. Una fiamma indomabile dalle geniali intuizioni che non è rimasta al proprio posto, come tutti le suggerivano, ma ha avuto la forza e il coraggio di sfidare il mondo che voleva vederla in catene. Tanti sono gli argomenti che ruotano intorno alla figura di questo personaggio storico, ancora poco conosciuto. Un libro che va letto e che fa riflettere ancor prima di iniziarne la lettura, grazie alla frase sulla copertina:
Quanto diverso sarebbe stato il nostro mondo se non fossero stati messi a tacere tanti spiriti liberi, come Ipazia?
Daniele Forcella